L’evoluzione dell’ortopedia attraverso la carriera del Dottor Paribelli

Ho iniziato la mia carriera a Padova dove mi sono laureato ed è continuata a Bologna, all’Istituto Rizzoli, dove sono stato per quattro anni, ottenendo la specialità in ortopedia. Sono stato molto fortunato perché ho avuto la possibilità di conoscere e lavorare a fianco di un Maestro come il Professor Leonardo Gui, che mi ha trasmesso la passione per questo lavoro.

Passione che ho mantenuto per tutta la vita e che mi ha spinto a voler lavorare in ambienti stimolanti e che mi permettessero di aggiornarmi senza problemi, anche all’estero.

In molte occasioni ho potuto conoscere chirurghi di grossa fama sia negli Stati Uniti che in Europa, dalla Francia alla Spagna.

Questa è stata la ragione per cui ho deciso di iniziare la carriera all’Istituto Rizzoli.

Ed è anche il motivo per cui lavoro da parecchi anni qui alla Domus Nova: Ho avuto la possibilità di sviluppare senza difficoltà tecniche ed insegnamenti appresi.

Come si è evoluta ed è cambiata l’ortopedia durante gli anni?

Negli anni ho visto cambiare moltissimo l’ortopedia…

L’ho vista evolvere.

I mezzi di comunicazione hanno dato un’accelerata alle nostre vite e così è successo anche con l’ortopedia, dove ci sono stati dei cambiamenti che potrebbero essere definiti epocali sia per quanto riguarda le tecniche che la valutazione delle varie patologie.

Inizialmente l’approccio chirurgico erano decisamente invasivo e questo comportava dei tempi di recupero molto lunghi.

Il vero, grande salto è avvenuto alla fine degli anni 70-80 quando è iniziata la nuova era della chirurgia artroscopica.

La chirurgia artroscopica è una chirurgia mininvasiva.

Ad esempio attraverso dei fori di pochi millimetri si possono introdurre all’interno di una articolazione una sonda con tanto di minitelecamera.

Questo non solo ha dato la possibilità di controllare lo stato dell’articolazione ma ha spalancato le porte della conoscenza perché finalmente potevamo vedere “dall’interno” quello che succedeva a un’articolazione in movimento.

Naturalmente i “grossi traumi” devono essere ancora trattati con la chirurgia tradizionale ma almeno il 70% degli interventi è gestito con la chirurgia artroscopica.

Per il paziente questo ha comportato un notevole beneficio.

Ricordo che quando mettevamo le prime protesi d’anca, il protocollo prevedeva di  “bloccare” il paziente col gesso dall’addome fino a piede per un intero mese. Al giorno d’oggi fa sorridere se pensiamo alle tecniche moderne e ai tempi di degenza attuali.

Nel mondo delle articolazioni e della chirurgia che riguarda le articolazioni, la spalla e il ginocchio sono quelli che hanno destato in me maggior interesse.

Come dicevo prima, il trattamento del ginocchio ha avuto la fortuna di beneficiare della chirurgia artroscopica. Grazie a essa abbiamo scoperto delle patologie che erano assolutamente sconosciute prima di riuscire a guardare dentro al ginocchio con l’artroscopio.

La chirurgia del ginocchio è stato il mio primo interesse e ho avuto la possibilità di vederla evolvere.

Chiunque può notarlo: basta guardare le notizie in televisione.

Quanto spesso sentiamo di tempi di recupero estremamente veloci che con i vecchi metodi non sarebbero stati nemmeno pensabili.

L’altra articolazione che ha suscitato in me grande interesse e di cui forse sono anche diventato un punto di riferimento è la spalla.

Ricordo che negli anni 91-92 ci riunivamo con alcuni colleghi come negli Stati Uniti dal Professor Stephen Snyder e dal Professor Stephen Burkhart.

Scambiavamo idee e ci confrontavamo per poter crescere dal punto di vista scientifico e dal punto di vista delle tecniche chirurgiche.

La cosa straordinaria era che ogni mese un gruppo di una decina di chirurghi – che sono attualmente tra i massimi chirurghi nel campo della chirurgia alla spalla – ci riunivamo a casa mia.

Ci scambiavamo le novità in un tempo in cui le informazioni non circolavano così velocemente.

Avevamo formato una sorta di piccola carboneria ortopedica che inizialmente il mondo scientifico non accolse positivamente ma che col passare del tempo c’è stata una grande “comunione di intenti”. Un po’ tutti i partecipanti a queste riunioni sono entrati nella Società Italiana di Artroscopia che vanta circa mille soci e che io ho avuto l’onore di essere il Presidente due anni.

Il nostro scopo era quello di parlare ai giovani e trasmettere la nostra esperienza.

Comunque, per quanto riguarda la spalla.

Questa è un’articolazione che si muove a 360 gradi ed è quindi particolarmente delicata.

Le patologie legate a questa articolazione sono molto comuni sia tra gli sportivi sia tra i lavoratori.

Anche qui la chirurgia artroscopica ha fatto fare enormi passi in avanti nella conoscenza e ora possiamo dare alcuni consigli per quanto riguarda il recupero dopo un intervento.

Infatti, anche se l’intervento è stato fatto con la chirurgia mininvasiva non sempre significa un tempo di recupero immediato.

Spesso ci si dimentica che la biologia ha bisogno dei suoi tempi.

Ormai la rieducazione più consigliabile è la rieducazione che non debba comportare dolore.

Questo un po’ si scontra con alcune teorie che invece ritengono che la rieducazione debba essere iniziata subito dopo l’intervento per evitare il rischio di rigidità dell’articolazione stessa.

Nel caso della spalla, i protocolli di rieducazione che io uso sono protocolli che rispettano la guarigione del tendine o della struttura operata.

E questo è fondamentale.

Il tempo necessario per avere una buona guarigione del tendine sull’osso è di circa 90 giorni.

In questo periodo la zona non va sollecitata e di conseguenza si deve fare una rieducazione chiamata “passiva”…

Cioè un fisioterapista aiuta il paziente a muovere con dolcezza e armonia l’arto operato per migliorare l’escursione articolare ma senza stressare la zona. D’altronde noi sappiamo che il dolore è un avvertimento.

Se il nostro organismo ci avverte con un dolore noi dobbiamo rispettarlo.

Con l’aiuto del fisiatra il paziente può raggiungere il livello limite ma senza superarlo.

E questo credo che sia fondamentale anche per l’ottenimento di ottimi risultati in tutta la chirurgia artroscopica.

Quando avvertiamo un dolore alla spalla che persiste nel tempo come ci dobbiamo comportare?

Ognuno di noi può aver avuto un dolore alla spalla per varie ragioni:

  • Posizioni alterate,
  • Aver dormito male la notte, mantenendo una posizione sbagliata;
  • A causa degli sforzi fatti durante il giorno

Il modo migliore per affrontare questo tipo di dolo è prenderlo in tempo.

Cioè iniziare a trattarlo appena si inizia ad avere un dolore che si ripete nel tempo. La spalla è un’articolazione subdola perché ci può dare ogni tanto qualche sintomo di dolore che poi scomparire.

Il problema è che il nostro organismo ha delle grandi capacità di compenso per cui di fronte anche a una lesione il sintomo dolore può scomparire.

Di conseguenza noi andiamo avanti con la nostra vita, con il nostro lavoro, con la nostra attività sportiva.

Poi un bel momento questo dolore diventa intenso e ci rivolgiamo a uno specialista dell’articolazione che trova la lesione di cui il paziente non è consapevole.

Il fatto è che la capacità di compenso da parte di questa articolazione è talmente alta che spesso la spalla arriva a uno stadio di sofferenza acuta prima di manifestare il primo sintomo.

Questo logicamente ci deve spingere a recarci da uno specialista quando c’è un dolore che si ripete nel tempo.

Nella patologia della cosiddetta cuffia dei rotatori – una patologia degenerativa legata appunto all’uso del braccio – queste lesioni spesso raggiungono livelli di irreparabilità e questo rende poi difficile il trattamento.

Negli ultimi anni c’è un incremento nelle tecniche per il trattamento di questo tipo di lesioni tramite Transfer Tendinei.

In pratica quando  i tendini della cuffia dei rotatori sono in condizione di non essere più riparabili, si usufruisce di tendini inseriti in altre sedi della spalla per compensare.

Qualche consiglio da seguire a lavoro o in palestra per preservare al meglio l’articolazione della spalla

Le cause di lesioni all’articolazione della spalla sono molte, sia nel campo sportivo che lavorativo.

Praticare uno sport “overhead”, cioè uno sport che necessita di alzare le braccia al di sopra della testa come la pallavolo o la pallacanestro comporta un carico di lavoro incredibile per l’articolazione, soprattutto quando ci si avvicina al professionismo.

Nel tempo si può creare una sofferenza del tessuto, specialmente nei giovani in accrescimento.

Soprattutto in questi casi è fondamentale controllare l’articolazione della spalla indipendentemente dal dolore che eventualmente può comparire o non comparire.

Perché le lesioni, se prese in tempo, permettono alla spalla di mantenere il suo equilibrio e quindi continuare a lavorare anche con carichi di lavoro importanti.

Per quanto riguarda invece quella che è la patologia degenerativa classica da lavoro, ci sono attività che sono sono usuranti ma che lo diventano col tempo. Ad esempio, la posizione che si assume durante la giornata quando usiamo il computer.

È molto importante il rapporto tra l’altezza della sedia e il tavolo da lavoro perché la spalla non viene sottoposta a stress se il braccio è lungo il nostro tronco. Per cui quando noi abbiamo una sedia alta e un tavolo basso lavorando con il braccio basso noi non mettiamo in crisi la nostra spalla

Se invece il tavolo è alto, la spalla viene sottoposta a stress tanto da poter sviluppare delle vere e proprie patologie.



Dott. Gianezio Paribelli
Chirurgo ortopedico dell’ospedale Domus Nova


L’evoluzione dell’ortopedia attraverso la carriera del Dottor Paribelli

Ho iniziato la mia carriera a Padova dove mi sono laureato ed è continuata a Bologna, all’Istituto Rizzoli, dove sono stato per quattro anni, ottenendo la specialità in ortopedia. Sono stato molto fortunato perché ho avuto la possibilità di conoscere e lavorare a fianco di un Maestro come il Professor Leonardo Gui, che mi ha trasmesso la passione per questo lavoro.

Passione che ho mantenuto per tutta la vita e che mi ha spinto a voler lavorare in ambienti stimolanti e che mi permettessero di aggiornarmi senza problemi, anche all’estero.

In molte occasioni ho potuto conoscere chirurghi di grossa fama sia negli Stati Uniti che in Europa, dalla Francia alla Spagna.

Questa è stata la ragione per cui ho deciso di iniziare la carriera all’Istituto Rizzoli.

Ed è anche il motivo per cui lavoro da parecchi anni qui alla Domus Nova: Ho avuto la possibilità di sviluppare senza difficoltà tecniche ed insegnamenti appresi.

Come si è evoluta ed è cambiata l’ortopedia durante gli anni?

Negli anni ho visto cambiare moltissimo l’ortopedia…

L’ho vista evolvere.

I mezzi di comunicazione hanno dato un’accelerata alle nostre vite e così è successo anche con l’ortopedia, dove ci sono stati dei cambiamenti che potrebbero essere definiti epocali sia per quanto riguarda le tecniche che la valutazione delle varie patologie.

Inizialmente l’approccio chirurgico erano decisamente invasivo e questo comportava dei tempi di recupero molto lunghi.

Il vero, grande salto è avvenuto alla fine degli anni 70-80 quando è iniziata la nuova era della chirurgia artroscopica.

La chirurgia artroscopica è una chirurgia mininvasiva.

Ad esempio attraverso dei fori di pochi millimetri si possono introdurre all’interno di una articolazione una sonda con tanto di minitelecamera.

Questo non solo ha dato la possibilità di controllare lo stato dell’articolazione ma ha spalancato le porte della conoscenza perché finalmente potevamo vedere “dall’interno” quello che succedeva a un’articolazione in movimento.

Naturalmente i “grossi traumi” devono essere ancora trattati con la chirurgia tradizionale ma almeno il 70% degli interventi è gestito con la chirurgia artroscopica.

Per il paziente questo ha comportato un notevole beneficio.

Ricordo che quando mettevamo le prime protesi d’anca, il protocollo prevedeva di  “bloccare” il paziente col gesso dall’addome fino a piede per un intero mese. Al giorno d’oggi fa sorridere se pensiamo alle tecniche moderne e ai tempi di degenza attuali.

Nel mondo delle articolazioni e della chirurgia che riguarda le articolazioni, la spalla e il ginocchio sono quelli che hanno destato in me maggior interesse.

Come dicevo prima, il trattamento del ginocchio ha avuto la fortuna di beneficiare della chirurgia artroscopica. Grazie a essa abbiamo scoperto delle patologie che erano assolutamente sconosciute prima di riuscire a guardare dentro al ginocchio con l’artroscopio.

La chirurgia del ginocchio è stato il mio primo interesse e ho avuto la possibilità di vederla evolvere.

Chiunque può notarlo: basta guardare le notizie in televisione.

Quanto spesso sentiamo di tempi di recupero estremamente veloci che con i vecchi metodi non sarebbero stati nemmeno pensabili.

L’altra articolazione che ha suscitato in me grande interesse e di cui forse sono anche diventato un punto di riferimento è la spalla.

Ricordo che negli anni 91-92 ci riunivamo con alcuni colleghi come negli Stati Uniti dal Professor Stephen Snyder e dal Professor Stephen Burkhart.

Scambiavamo idee e ci confrontavamo per poter crescere dal punto di vista scientifico e dal punto di vista delle tecniche chirurgiche.

La cosa straordinaria era che ogni mese un gruppo di una decina di chirurghi – che sono attualmente tra i massimi chirurghi nel campo della chirurgia alla spalla – ci riunivamo a casa mia.

Ci scambiavamo le novità in un tempo in cui le informazioni non circolavano così velocemente.

Avevamo formato una sorta di piccola carboneria ortopedica che inizialmente il mondo scientifico non accolse positivamente ma che col passare del tempo c’è stata una grande “comunione di intenti”. Un po’ tutti i partecipanti a queste riunioni sono entrati nella Società Italiana di Artroscopia che vanta circa mille soci e che io ho avuto l’onore di essere il Presidente due anni.

Il nostro scopo era quello di parlare ai giovani e trasmettere la nostra esperienza.

Comunque, per quanto riguarda la spalla.

Questa è un’articolazione che si muove a 360 gradi ed è quindi particolarmente delicata.

Le patologie legate a questa articolazione sono molto comuni sia tra gli sportivi sia tra i lavoratori.

Anche qui la chirurgia artroscopica ha fatto fare enormi passi in avanti nella conoscenza e ora possiamo dare alcuni consigli per quanto riguarda il recupero dopo un intervento.

Infatti, anche se l’intervento è stato fatto con la chirurgia mininvasiva non sempre significa un tempo di recupero immediato.

Spesso ci si dimentica che la biologia ha bisogno dei suoi tempi.

Ormai la rieducazione più consigliabile è la rieducazione che non debba comportare dolore.

Questo un po’ si scontra con alcune teorie che invece ritengono che la rieducazione debba essere iniziata subito dopo l’intervento per evitare il rischio di rigidità dell’articolazione stessa.

Nel caso della spalla, i protocolli di rieducazione che io uso sono protocolli che rispettano la guarigione del tendine o della struttura operata.

E questo è fondamentale.

Il tempo necessario per avere una buona guarigione del tendine sull’osso è di circa 90 giorni.

In questo periodo la zona non va sollecitata e di conseguenza si deve fare una rieducazione chiamata “passiva”…

Cioè un fisioterapista aiuta il paziente a muovere con dolcezza e armonia l’arto operato per migliorare l’escursione articolare ma senza stressare la zona. D’altronde noi sappiamo che il dolore è un avvertimento.

Se il nostro organismo ci avverte con un dolore noi dobbiamo rispettarlo.

Con l’aiuto del fisiatra il paziente può raggiungere il livello limite ma senza superarlo.

E questo credo che sia fondamentale anche per l’ottenimento di ottimi risultati in tutta la chirurgia artroscopica.

Quando avvertiamo un dolore alla spalla che persiste nel tempo come ci dobbiamo comportare?

Ognuno di noi può aver avuto un dolore alla spalla per varie ragioni:

  • Posizioni alterate,
  • Aver dormito male la notte, mantenendo una posizione sbagliata;
  • A causa degli sforzi fatti durante il giorno

Il modo migliore per affrontare questo tipo di dolo è prenderlo in tempo.

Cioè iniziare a trattarlo appena si inizia ad avere un dolore che si ripete nel tempo. La spalla è un’articolazione subdola perché ci può dare ogni tanto qualche sintomo di dolore che poi scomparire.

Il problema è che il nostro organismo ha delle grandi capacità di compenso per cui di fronte anche a una lesione il sintomo dolore può scomparire.

Di conseguenza noi andiamo avanti con la nostra vita, con il nostro lavoro, con la nostra attività sportiva.

Poi un bel momento questo dolore diventa intenso e ci rivolgiamo a uno specialista dell’articolazione che trova la lesione di cui il paziente non è consapevole.

Il fatto è che la capacità di compenso da parte di questa articolazione è talmente alta che spesso la spalla arriva a uno stadio di sofferenza acuta prima di manifestare il primo sintomo.

Questo logicamente ci deve spingere a recarci da uno specialista quando c’è un dolore che si ripete nel tempo.

Nella patologia della cosiddetta cuffia dei rotatori – una patologia degenerativa legata appunto all’uso del braccio – queste lesioni spesso raggiungono livelli di irreparabilità e questo rende poi difficile il trattamento.

Negli ultimi anni c’è un incremento nelle tecniche per il trattamento di questo tipo di lesioni tramite Transfer Tendinei.

In pratica quando  i tendini della cuffia dei rotatori sono in condizione di non essere più riparabili, si usufruisce di tendini inseriti in altre sedi della spalla per compensare.

Qualche consiglio da seguire a lavoro o in palestra per preservare al meglio l’articolazione della spalla

Le cause di lesioni all’articolazione della spalla sono molte, sia nel campo sportivo che lavorativo.

Praticare uno sport “overhead”, cioè uno sport che necessita di alzare le braccia al di sopra della testa come la pallavolo o la pallacanestro comporta un carico di lavoro incredibile per l’articolazione, soprattutto quando ci si avvicina al professionismo.

Nel tempo si può creare una sofferenza del tessuto, specialmente nei giovani in accrescimento.

Soprattutto in questi casi è fondamentale controllare l’articolazione della spalla indipendentemente dal dolore che eventualmente può comparire o non comparire.

Perché le lesioni, se prese in tempo, permettono alla spalla di mantenere il suo equilibrio e quindi continuare a lavorare anche con carichi di lavoro importanti.

Per quanto riguarda invece quella che è la patologia degenerativa classica da lavoro, ci sono attività che sono sono usuranti ma che lo diventano col tempo. Ad esempio, la posizione che si assume durante la giornata quando usiamo il computer.

È molto importante il rapporto tra l’altezza della sedia e il tavolo da lavoro perché la spalla non viene sottoposta a stress se il braccio è lungo il nostro tronco. Per cui quando noi abbiamo una sedia alta e un tavolo basso lavorando con il braccio basso noi non mettiamo in crisi la nostra spalla

Se invece il tavolo è alto, la spalla viene sottoposta a stress tanto da poter sviluppare delle vere e proprie patologie.



Dott. Gianezio Paribelli
Chirurgo ortopedico dell’ospedale Domus Nova